All’improvviso nel mondo globalizzato ha fatto irruzione il coronavirus sorprendendo tutti per il carico di morti che ha procurato, per il dolore e le sofferenze che ha seminato, per la paura che ha insinuato, per le certezze che ha distrutto. In una piazza San Pietro deserta e bagnata dalla pioggia, papa Francesco si è fatto voce dello smarrimento di tutti: «Ci siamo trovati impauriti e
smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce
e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti” così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme». Ed ancora: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato
addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità» (meditazione del 27 marzo 2020).
Sotto la sferza della realtà ci siamo ritrovati vulnerabili e siamo stati costretti a interrogarci. Soprattutto ci ha ferito il passaggio della morte che ha colpito in modo lacerante quando ai parenti non si è potuto dare nessun segno di conforto e i loro cari sono morti in estrema solitudine. La scorza della nostra indifferenza almeno per un momento è stata scossa facendo nascere la domanda sulla vita, sulla nostra e su quella di ciascuno. E con la grande domanda siamo stati provocati alla ricerca di un perché.
I volti degli ammalati soffocati e dei morti ci hanno fatto riflettere sul nostro volto e sulla sua fragilità. L’abituale distrazione e l’«orgoglio tecnologico» sono stati profondamente provati. Nella sua drammaticità questa provocazione è salutare perché rende impraticabile qualsiasi scappatoia.
2. Mai come in questa circostanza, abbiamo potuto scoprire di essere davvero tutti connessi, accomunati da una sofferenza, da un destino comune e dall’incertezza (si veda Fratelli tutti 8). La paura permane. E la domanda sul futuro si fa più grave: fino a quando durerà la pandemia? E se poi qualche altro virus dovesse venir fuori per aggravare ancor più tutta la situazione e contaminasse ancor più anche la natura e distruggesse ancora tante persone, soprattutto anziane? Quando ci è passata accanto la devastazione della nostra vita, anche la devastazione del
pianeta in cui viviamo ci è parsa più vicina.
Ora tutto si affida alle distanze di sicurezza e alle altre norme da osservare. Ma, pur con tutti gli accorgimenti, il timore di quello che può accadere non ci lascia. In queste circostanze affiorano le domande fondamentali della ragione e del cuore sul nostro destino e sul pianeta in cui abitiamo. Ma come cristiani possiamo dire solamente questo? E di fronte all’enigma della morte possiamo solo aspettare che la pandemia passi? E noi non abbiamo incontrato chi ci dona una speranza oltre la morte?
3. Benché solidali con quanto sta avvenendo, non dobbiamo permettere che tutto ciò ci faccia dimenticare le tante vittime innocenti dell’incuria dell’ambiente: dell’abuso del territorio che pagano sulla propria pelle le conseguenze di uno sviluppo economico spregiudicato. I tanti sfruttati, i migranti, i poveri che continuano a popolare il pianeta richiamano bruscamente le responsabilità
di ognuno: uno sviluppo senza scrupoli che non tenga conto della salvaguardia del pianeta a noi affidato non può che ritorcersi contro l’umanità divenendo un contro-sviluppo.
4. Partendo da queste domande e dalla trepidazione che ne deriva, il cammino di preparazione verso le prossime Settimane Sociali è volto alla ricerca di risposte adeguate alle grandi sfide del nostro tempo. Tutti perciò siamo invitati a riflettere sul «Pianeta che speriamo» con uno sguardo capace di tenere insieme ambiente e lavoro nella evidenza che #tuttoèconnesso.
In questo cammino ci guida la Laudato si’ di papa Francesco, un testo appassionato alle sorti del Pianeta e dell’umano che afferma: «La domenica è il giorno della risurrezione, il primo giorno della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata» (LS 237). Prospettiva ripresa poi e ribadita anche nell’Esortazione
Apostolica Querida Amazonia quando, di fronte agli immensi problemi sociali e ambientali di questo vasto territorio, proclama la forza profetica dell’annuncio cristiano. «E’ l’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano, che ha manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto nella nostra vita. …Senza questo annuncio appassionato, ogni struttura
ecclesiale diventerà un’altra ONG, e quindi non risponderemo alla richiesta di Gesù Cristo: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura”» (QA 64). Le problematiche ambientali e sociali, che valgono per l’Amazzonia come per l’intero pianeta, vengono dunque illuminate con la sapienza del Vangelo. «Il kerygma e l’amore fraterno costituiscono la grande sintesi
dell’intero contenuto del Vangelo che non si può fare a meno di proporre in Amazzonia» (QA 65). E confermata ulteriormente dall’enciclica Fratelli tutti firmata da Francesco il 4 ottobre 2020 ad Assisi.
Da questo nucleo infiammato scaturisce l’originalità della proposta cristiana da cui si sviluppa «un necessario processo di inculturazione, che non disprezza nulla di quanto di buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a pienezza alla luce del Vangelo» (QA 66). È da questo nucleo ardente che la prospettiva che tutti insieme vogliamo sviluppare e declinare può nascere e crescere.