Pubblichiamo la riflessione biblica di Rosanna Virgili, biblista, in apertura della seconda giornata dei lavori della Settimana Sociale.
Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo 5nessun cespuglio era sulla terra, nessuna erba era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, 6ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo.
7Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
8Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato.
In una delle pagine più sognanti e famose della Bibbia troviamo l’immagine del mondo che si sviluppa attorno a un giardino: il paradiso terrestre. Un racconto sotto forma di mito che la Bibbia colloca alle origini della vicenda umana. Ma presto si vedrà che si tratta di un sogno da costruire insieme – come dice Papa Francesco a proposito della fraternità. La nostalgia di quel “paradiso perduto” percorrerà tutta la Scrittura, giungendo sino a noi che ci troviamo a vivere più spesso nella steppa che in un orto ricco di frutti; sovente nei deserti della solitudine e in quelli del dolore, invece che in canti di libertà e letizia.
Ma veniamo al punto: La creazione è un work in progress. L’inizio di questo secondo racconto di Genesi è, infatti, un avverbio di tempo: “quando”, si tratta di un’azione durativa, un movimento che non si ferma mai e che non tende a produrre nulla di fisso, di statico. “La terra e il cielo” sono corpi in relazione, pertanto non solo l’uno si configura nel rapporto con l’altra ma ambedue sono “viventi”, dinamici, quanto, nella cultura biblica equivarrebbe a dire, di natura “spirituale”, usciti, cioè, dalla Parola e dalla mano del Creatore che, mentre li distingue e li mette in contatto, li congiunge in armonia, essi vanno ad assumere la propria identità.
Ma c’è di più: nel quadro narrativo Dio non è solo a “creare”, ma Egli è solo il primo a entrare in scena. La terra appare, a primo acchito, come una steppa, che ancora non si può considerare un vero “creato”: manca l’apporto del cielo (= la pioggia) e quello che sorge da sé stessa: dall’uomo, cioè, che è fatto di humus, di terra, appunto. Che meraviglia! L’essere umano è – sulla terra – una risorsa che equivale alla pioggia, dono del cielo. Le acque sopra i cieli saranno “aperte” e bagneranno la steppa (= l’Eden) rendendola un giardino (gan); ma senza il lavoro dell’essere umano non saranno scavati quei pozzi e non saranno aperti quei canali che coadiuveranno provvidenzialmente le piogge affinché il suolo diventi fecondo.
Il creato si va a trasformare attraverso il lavoro dell’uomo. Un lavoro fatto non solo di tecnica e di scienza, ma anche secondo un ordine etico e un gusto estetico = un lavoro che si intona la musica divina da cui viene la vita.
9Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Ed ecco il miracolo della creazione: un gioco di distanza e corrispondenza tra Dio e l’essere umano, dalla cui collaborazione fioriscono alberi e piante, con i loro frutti, belli da vedere e buoni da mangiare. In mezzo al giardino c’è l’albero della vita il cui segreto è indicato nell’albero della conoscenza, fonte divina per eccellenza. Intelligenza dell’intimità delle cose, conoscenza d’amore che, sola, può portare all’albero della vita. È quanto si può spiegare con un’altra pagina biblica, quella del Cantico, dove l’aroma del legno emana dalla stanza degli innamorati: “Erba verde è il nostro letto, di cedro sono le travi della nostra casa, di cipresso il nostro soffitto” (1,16b-17): sono alberi dello stesso legno con cui è edificato il Tempio! Ma anche il corpo dell’amato è come un albero: “Io sono un narciso della pianura di Saron, un giglio delle valli (…) come un melo tra gli alberi del bosco, così l’amato mio tra i giovani. Alla sua ombra desiderata mi siedo, e dolce è il suo frutto per me” (2,1.3). E il corpo dell’amata è un serto di profumi delle più esclusive piante orientali: “Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane, con i frutti più squisiti alberi di cipro e di nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo, con ogni specie di alberi di incenso, mirra e aloe, con tutti gli aromi migliori” (4,12-14).
I FIUMI
10Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi.
11Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l’oro 1
2e l’oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d’ònice.
13Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia.
14Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate.
Le grandi civiltà si sviluppano sulle rive dei fiumi: il Nilo, l’Eufrate, il Giordano, il Tevere, il Gange. Nel nostro racconto da un’unica fonte si dividono quattro grandi fiumi come ad avvolgere la terra (nelle sue quattro direzioni: Nord, Sud, Est, e Ovest); a dire che ogni civiltà è figlia di un’unica ispirazione di vita: la sorgente divina che come una polla calda, irrora quel giardino che è il mondo.
La terra è un organismo unitario, dove la fraternità sarà il limo che feconda ogni riva, frutto di fiumi che vengono da un’unica voglia di vita. “Tutto è connesso”!
Tale è l’effetto emozionale destato dal flusso dei fiumi primordiali, che il loro canto ritorna, nella Bibbia, come metafora di altre acque vitali, quelle che “scorrono” nella stagione della Misericordia e dell’Amore di Dio, verso il suo popolo. Stupende le parole di Isaia: «Perché così dice il Signore: “Ecco io farò scorrere verso di essa come un fiume la pace, come un torrente in piena, la gioia delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio e sulle ginocchia sarete accarezzati”» (66,12).
Il dono di Dio è un fiume di pace!
Un dono che Lui non farà mancare neppure quando gli ebrei saranno stretti nei gelidi artigli dell’esilio; proprio allora i profeti apriranno, davanti agli occhi del loro cuore, visioni di ruscelli nuovi, gonfi della promessa del ritorno e della rinascita:
“Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Efraim è un mio primogenito” (Ger 31,9).
La vitalità degli elementi del creato è specchio del volto stesso di Dio: per questo Paolo si indignerà contro i sapienti greci che hanno il cuore ottuso e sono inescusabili, perché non riconoscono il volto del Creatore nella bellezza delle sue creature.
L’ESSERE UMANO
15Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
“Custodire” che non vuol dire “conservare” ma far sì che il creato generi e si rinnovi a vita sempre nuova, rimuovendo – con alberi e fiumi – tutto ciò che fa seccare, spegnere, morire. Mangiare dell’albero della conoscenza fa diventare “come uno di noi” dice Dio, e il Salmo 8 celebra la grandezza della sapienza umana, dicendo: “lo hai fatto poco meno di un dio”! Allo scopo di:
“Coltivare” il giardino che chiede l’impegno di vivificare le aree deserte, di resistere all’abbandono o allo scempio ecologico di intere regioni che – nel corso delle vicende dei secoli – da giardini ritornano ad essere sterpaglie, senza la cura ma per l’avidità degli umani. Come non pensare alle periferie delle nostre città, avvilite e desolate dall’incuria e dai cumuli di rifiuti, tra cui si muovono nell’indegnità folle di scarti umani?
Come non pensare alle terre che vengono sgomberate dai loro abitanti e spogliate della flora e fauna, in superficie, per rapinare i tesori del sottosuolo o a chi violenta la salute di tutti per costruire fabbriche, centrali di profitto e di morte?
E non possiamo neppure fare a meno di pensare alle splendide campagne del Centro e del Sud Italia, strette in una solitudine immensa, per la maggior parte dell’anno, a causa di politiche miopi e di parassitismi insopportabili?
E che dire di quanti “aggiungono casa a casa” per restare soli ad abitare il paese? Come dice il profeta Isaia. Lo facciamo anche noi quando possediamo più case e ne abitiamo solo poche stanze, mentre c’è gente che non riesce a godere di un tetto e l’attaccamento – legittimo! – alla proprietà rende i centri di borghi e città, vuoti e spettrali, deserti di luci e di voci.
Custodire è l’arte della fraternità: “sono forse custode di mio fratello”? risponde Caino a Dio quando gli chiede: “Dov’è tuo fratello”. Ognuno di noi è custode della vita dell’altro. Ogni umano è custode non solo della terra ma di ogni creatura che la abita con lui, con cui è stretto, lo stesso, da legami di fraternità per cui, come Francesco d’Assisi li chiama: “sorella e madre terra, fratello sole, fratello foco” (cf FT)
Siamo NODI di una rete di relazioni che unisce tutte le creature; che unisce il presente al futuro e fa spazio per chi non c’è ancora, per i figli che verranno; siamo nodi di una rete dove si coltiva la bio-diversità: il dono del tempo, del pane, dell’acqua e dei beni del mondo per l’altro/a e insieme all’altro.
Anche la Chiesa è – metaforicamente – un giardino in Eden, che dev’essere “coltivato e custodito”.
Nella ecologia globale e in quella integrale occorre anche una ecologia ecclesiale. Papa Francesco la spera e la insegna a partire dalla Evangelii Gaudium sino alla FT. La Chiesa come uno dei diversi “fiumi” delle religioni o delle fedi laiche, nel giardino della fratellanza universale. La Chiesa che deve scavare pozzi di grazia per abbeverare tutti gli assetati della terra e non solo i battezzati. La Chiesa che deve “pascolare” i poveri del mondo e non sé stessa, come ci mette in guardia il profeta Ezechiele, rivolgendosi ai pastori di Israele: “essi pascono sé stessi…mentre non curano le pecore malate, non fasciano quelle ferite, non riportano quelle disperse”.
Nel suo “giardino interno” i fiumi potrebbero essere paragonati ai diversi carismi, sgorgati e donati dall’unica fonte dello “Spirito”. Essa deve, allora, coltivarli, vale a dire riconoscerli, apprezzarli e custodirli, facendo in modo che non si sciupi il loro valore a danno del bene di tutti.
Oggi vediamo la nostra Chiesa d’Europa simile alla steppa dell’Eden, dove coloro che erano preposti a coltivare e custodire sono sempre di meno e in molte città stanno addirittura scomparendo. Dinanzi a questo declino ci si preoccupa, spesso, di mantenere in vita quel poco che resta mentre non ci si accorge di tanta ricchezza spirituale che chiede di essere illuminata e investita.
Ciò significa che sia urgente riformare le geometrie, abbattere tanti muri, guarire le ferite, trasformare la piramide in un poliedro.
Si tratta di riconoscere la debolezza di un modello di uniformità di carisma nel disporre del giardino, a vantaggio di un modello di bio-diversità: la cari-diversità, quella che Paolo chiama: una varietà di carismi uniti da un unico spirito; un “giardino” dove nessuno è uguale all’altro e a ciascuno dev’esser consegnato il suo particolare profumo ministeriale. Occorre che questa sorta di “transizione ecologica” avvenga nella Chiesa, e che vengano sempre più introdotte delle fonti di energia alternativa.
Se è vero che la nostra civiltà è concentrata sul know how e manca del know how with (l’arte della vita di relazioni) come potrà la Chiesa svolgere un ruolo efficace se non riesce ad essere testimone di vita di relazione? Se le divisioni la feriscono e la spaccano al suo interno, come potrà essere credibile all’esterno?
La voce di Dio ad Adam risuona per tutti i battezzati: la responsabilità di coltivare e custodire i nostri Paesi “insieme” come suggerisce anche il neo-avvio del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia e come mostra con evidenza quanto anima questa nostra bellissima Settimana Sociale.
Si tratta di rendere possibile il concorso di tutti i battezzati nella responsabilità di scelte e decisioni necessarie. È ora che tutti i credenti si mettano in piena collaborazione di fraternità dentro e fuori la Chiesa, perché le steppe che fanno presto a ricrescere nel mondo, siano arate, innaffiate e trasformate in più colorati e creativi giardini.