La celebrazione diocesana del 1° maggio, dedicata a San Giuseppe lavoratore, si tiene nella nostra diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola ormai da sette anni (la prima fu ad Orciano di Pesaro – oggi Terre Roveresche – nel 2014) e quest’anno si svolge nella Chiesa di Villa Bassa al Prelato, nel rispetto dei protocolli anti-Covid, sabato 1 maggio con inizio alle 10,30 con la santa Messa presieduta dal Vescovo mons. Armando Trasarti.
Questa celebrazione avviene nella memoria liturgica di San Giuseppe lavoratore, e quest’anno essa assume un ulteriore importante significato perché siamo all’interno dell’anno dedicato a San Giuseppe, da Papa Francesco.
Nel 1955, il Papa Pio XII istituì la festa liturgica di San Giuseppe lavoratore nel giorno del 1° maggio e affidò ogni uomo che lavora sotto la custodia dell’umile artigiano di Nazaret, che «impersona presso Dio e la Santa Chiesa la dignità del lavoratore». In modo eminente nella memoria di San Giuseppe si riconosce la dignità del lavoro umano, come dovere e perfezionamento dell’uomo, esercizio benefico della sua custodia del creato, servizio della comunità, prolungamento dell’opera del Creatore, contributo al piano della salvezza.
Patris Corde. Papa Francesco, l’8 dicembre 2020, ha voluto “rafforzare” ed accrescere l’amore e la devozione verso questo grande Santo, evidenziandone le sue doti di padre (di Gesù), di sposo (di Maria) e di lavoratore, con la lettera apostolica “Patris Corde”, che tra le altre cose sottolinea: “Un aspetto che caratterizza San Giuseppe e che è stato posto in evidenza sin dai tempi della prima Enciclica sociale, la Rerum Novarum di Leone XIII, è il suo rapporto con il lavoro. San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro. In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono.”
Di questa “urgente questione sociale” possiamo averne un’idea più precisa leggendo il 54° Rapporto Censis, pubblicato di recente, che ci fornisce uno “spaccato” molto preoccupante della situazione economica e lavorativa causata dalla pandemia sanitaria da Covid19 (e di cui noi come Chiesa e comunità cristiana non possiamo non preoccuparci ed occuparci): in questo momento vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese; c’è la falange dei più vulnerabili: un aggregato che comprende i dipendenti del settore privato a tempo determinato (solo nel secondo trimestre dell’anno 2020 quasi 400.000 persone non hanno avuto il rinnovo del contratto); c’è l’universo degli scomparsi: quello dei lavoretti, del lavoro occasionale, del lavoro in nero, un’insieme stimabile in circa 5 milioni di persone che ruotavano attorno a servizi che sono fermi; ed infine ci sono i “vulnerabili inattesi”: gli imprenditori dei settori chiusi causa pandemia, come i commercianti, gli artigiani, alcune tipologie di professionisti, e di tutto quel magmatico mondo del lavoro autonomo che per il 77% ha visto diminuire i propri redditi, in alcuni casi in maniera drastica. Senza voler dimenticare la situazione in cui il 50,3% dei giovani vive in una condizione socio-economica peggiore di quella vissuta dai genitori alla loro età.
Il messaggio dei Vescovi per il 1° maggio 2021. Il messaggio dei Vescovi per questo primo maggio si intitola “E al popolo stava a cuore il lavoro (Ne 3,38). Abitare una nuova stagione economico sociale”, parte dal racconto presente nel libro di Neemia, nella Bibbia, e cerca di sottolineare l’importanza della generatività, della caparbietà del popolo nel portare a termine l’opera intrapresa, e di considerare sempre in modo intelligente il “conflitto tra il vecchio che resiste e il nuovo che s’impone con la sua forza di cambiamento”. Ma tra le tante sottolineature, ci ricorda di vivere questa difficile fase senza disimpegno e senza rassegnazione. “Abitiamo i nostri territori diocesani con le loro potenzialità di innovazione ma anche nelle ferite che emergono e che si rendono visibili sui volti di molte famiglie e persone. Sappiamo che ogni novità va abitata con una capacità generativa e creativa frutto dello Spirito di Dio. Nulla ci distolga dall’attenzione verso i lavoratori. Parafrasando un celebre brano di Gaudium et spes, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del mondo del lavoro, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono i sentimenti dei discepoli di Cristo Signore. Condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura. Se «tutto è connesso» (LS 117), lo è anche la Chiesa italiana con la sorte dei propri figli che lavorano o soffrono la mancanza di lavoro. Ci stanno a cuore.”
Il verbo abitare (peraltro uno dei cinque verbi del Convegno Ecclesiale di Firenze), più volte sottolineato, ci deve dare sempre più consapevolezza del “debito” che abbiamo contratto con le nuove generazioni. Per cui “abitare una nuova stagione economico sociale” ci deve condurre a comportamenti nuovi o comunque diversi da quelli che abbiamo tenuto sino ad oggi. Se non cambiamo stile di vita, e non adottiamo uno stile adeguato ad attuare uno sviluppo sostenibile il rischio è che dovremo “tornare indietro” rispetto alle condizioni di vita sociali ed economiche attuali, ed allora la nostra responsabilità nei confronti delle nuove generazioni sarà sempre più evidente. Allora serve un patto: che qualsiasi nuova attività e qualsiasi nuovo tipo di consumo non dovrà aumentare “l’impatto ecologico” dell’uomo su questo pianeta, ma che anzi tale impatto deve decrescere. In genere qualsiasi shock (che sia di tipo economico, fisico, sociale, politico) ha bisogno di tempo per essere “riassorbito”, ma quando lo shock è molto grande, come l’attuale cambiamento climatico, occorre realizzare una vera e propria trasformazione delle abitudini e dei comportamenti umani per poterlo riassorbire, altrimenti è destinato solo a peggiorare. In questo senso sembra purtroppo che tutti noi, nessuno escluso, (Chiesa compresa) non abbia compreso l’urgenza e l’importanza del messaggio della “Laudato Si’”.
Verso la 49° Settimana Sociale. La celebrazione del 1° maggio di quest’anno ci dà l’opportunità di sviluppare una ulteriore riflessione grazie al documento preparatorio per la 49° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (che si terrà a Taranto in ottobre) che ha per titolo: “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro #tuttoèconnesso”. Questo tema ci ricorda che salute, ambiente e lavoro sono aspetti che possono, anzi devono, stare insieme e che non sono affatto “antitetici” come purtroppo è spesso accaduto in passato. Ci aiuterà in questa riflessione Don Ugo Ughi (vicario per la formazione del clero e assistente diocesano dell’Ucid) con un piccolo contributo al termine della santa Messa.
Gabriele Darpetti, direttore dell’ufficio pastorale per i problemi sociali e del lavoro, giustizia, pace, custodia del creato